Tutti noi vorremmo portare a termine con successo gli obiettivi che ci prefiggiamo, giusto? Certo!

Sembra una domanda ovvia, eppure, in alcuni casi, si ha difficoltà a raggiungere quello che vogliamo ottenere.

Ovviamente nel fallimento di un obiettivo un ruolo importante lo gioca il “come” questo obiettivo viene definito (senza entrare nel discorso degli obiettivi “SMART”) e una domanda discriminante in questo senso è proprio: l’obiettivo che la persona si è prefissata è realistico o irrealistico? (ovviamente contestualizzato all’attuale situazione della persona).

Se l’obiettivo è irrealistico non sorprenderà che l’esito più probabile sarà il fallimento (per quanto si può sempre sperare nel colpo di fortuna), ma se invece l’obiettivo è realistico…cosa ha portato alla mancata riuscita?

Anche in questo caso, naturalmente, potrebbero aver influito degli eventi esterni, ma non va sottovalutato il ruolo attivo (consapevole o inconsapevole) che abbiamo avuto nel raggiungere il fallimento.

Detta in altre parole, abbiamo costruito noi stessi la trappola nella quale siamo caduti!

Ma come?

Premetto subito che il “costruirsi delle trappole” non è indicatore di qualcosa che non va nella nostra mente ma un funzionamento intrinseco di ogni essere umano

Ognuno di noi, nella vita, si è trovato nella situazione di dover superare degli ostacoli e risolvere dei problemi in quello che è il rapporto che abbiamo con noi stessi, con gli altri e con il mondo, adottando delle strategie che in alcuni casi si sono rivelate utili e in altri no.

Sulla base delle strategie tornare utili, la nostra mente ha elaborato i processi che ci hanno permesso di risolvere alcuni problemi e tende a trasformarli in schemi replicabili di fronte a situazioni ritenute simili.

Ovvero, si tenderà ad applicare una soluzione che ha funzionato per un determinato problema a tutte le problematiche “riconosciute” come simili.

Questo processo di generalizzazione spesso è fallace in quanto una strategia che ha funzionato in una situazione potrebbe essere utile in un problema “isomorfo” al precedente (condizione più rara di quanto comunemente ritenuto).

Se invece il problema è “solo” percettivamente simile, la stessa strategia potrà, in caso, essere utile in parte o non essere utile affatto!

Per la nostra mente che mira ad economizzare i processi cognitivi, un riconoscimento infallibile sull’esatta uguaglianza di una situazione attuale ad una passata è pressoché impossibile in quanto la schematizzazione avviene per “categorie”, siamo dunque portati ad applicare rigidamente una tentata soluzione che ha funzionato per “categorie” di problemi simili e, come detto, questo potrebbe non essere efficace.

Ma una tentata soluzione replicata nel tempo non solo non si rivela efficace, ma introduce ulteriori complicazioni.

All’inizio, infatti, tutto ciò che facciamo per affrontare una situazione problematica può sembrare avere effetti benefici, ma è nel lungo periodo che mostra tutti i suoi lati negativi; un po’ come il mulo che vuole spostare un macigno dalla sua strada a testate, ogni testata sposterà di 1 millimetro il masso ma prima di rimuoverlo dalla strada, il povero animale si sarà rotto la testa!

Le nostre tentate soluzioni disfunzionali, quindi, diventano delle trappole che noi stessi creiamo e manteniamo in maniera più o meno inconsapevole e possono diventare dei veri e propri auto-sabotaggi che ci impediscono di raggiungere i nostri obiettivi nel modo più paradossale possibile: ciò che facciamo per raggiungere un obiettivo in realtà ce ne allontana.